Corpi offesi, menti offese. risposta antropologica alla calunnia

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Avrei voluto scrivere il mio primo post, su questo blog, su una malattia sociale: imia depressione e i riflessi di tale male nella vita delle persone. Invece, visti alcuni fatti accaduti in questi giorni ed uno in particolare che ha colpito la mia attenzione e sensibilità, ritengo opportuno occuparmi proprio di questo argomento.
Il fatto pubblico di cui vorrei discorrere, con chi avrà la cortesia di leggermi, è il vento di calunnia che ha ammantato la liberazione delle due volontarie italiane, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo rapite a fine luglio del 2014 in Siria e liberate alcuni giorni fa. Il lavoro diffamatorio, che è prassi consolidata oggi, è tipico di chi vuole dileggiare il lavoro di tante persone che credono in un modo pacifico di portare aiuto a individui meno fortunati in luoghi difficili per questioni politiche e ambientali e in particolare colpisce il genere femminile.
La vicenda post liberazione, inurbana e violenta, tratta di illazioni personali e altamente offensive che non ritengo opportuno ripetere ma che i più attenti potranno trovare sulle pagine online dei più noti quotidiani.
Roberto Saviano, in diverse occasioni, ha ben delineato la forza della calunnia. Calunnia che si distingue per una forza dinamica di notizie, sempre false, che martellano l’opinione pubblica e che toccano i più bassi istinti e stereotipi insiti nella cultura, in questo caso, italiana e, sopratutto, di una parte di uomini e donne che credono a questo “vento”1.
Franz Kafka, in diversi suoi romanzi e scritti ha evidenziato, ha fatto emergere e analizzato quella zona liminale tra umano e non-umano, tra natura e cultura e tra sospetto e condanna.
La maldicenza, che sia indirizzata verso un nano che diventerà un Giudice o verso Bocca di Rosa, si rivolge contro due donne che hanno come sola colpa quella di voler aiutare chi è meno fortunato. Il sospetto e la relativa condanna “colpisce” nella misura in cui un’ignoranza becera e preconcetta si scaglia addosso a qualcuno o qualcosa utilizzando meccanismi mentali che indicano tendenze psicologiche dirette alla valutazione di singoli o gruppi, di solito in termini negativi. Il giudizio di valore, inficiato da una contrapposizione politica che non evidenzia la realtà dei fatti fa avanzare quel dubbio che la rete oggi trasforma in notizia verosimile e trasfigura gli utenti che si accostano alla notizia e commentano quest’ultima con parole trainate da bassi istinti più che da ragioni e logica.
Nella vicenda gli stereotipi di genere incidono in modo preponderante sulla diffusione e sulla capacità di relativizzare l’avvenimento.
Io non mi chiedo se sia vero o no, come non mi chiedo da antropologo se una religione sia vera o no, ma mi chiedo quali aspetti strutturali e funzionali abbia tale fenomeno religioso e perché le persone credono ad un tale culto. Quindi la mia domanda su questa vicenda è: cosa spinge ad offendere ancora una volta il “corpo delle donne” e perché si crede ad una storia del genere?
Perché, questa vicenda, colpisce e offende proprio il corpo, mi permetto di dire il corpo sociale delle donne. Il corpo, come sostiene Beatrice Tortolici2, è il luogo antropologico per eccellenza. Luogo antropologico destinatario della memoria, dell’identità e della cultura. Corpo che diviene effige dei cambiamenti sia fisici che psicologici. Corpo che rappresenta, attraverso i segni fisici e psichici, le riproduzioni simboliche dell’organizzazione sociale.
Con il corpo delle donne, per mezzo di questo meccanismo, si colpisce la donna nella sua totalità: sia fisica, sia psicologica che culturale.
Una comunicazione offensiva e così la considero personalmente, mistificata in forma di domanda e affermazione finale vero giudizio del Senatore sulla vicenda, espressa da un rappresentante delle istituzioni e data in pasto alla rete, si instaura in quel concetto di violenza simbolica3 che si rifà a pratiche patriarcali e coloniali dove si ritiene di poter decidere, parlare, sparlare e calunniare il corpo delle donne ed utilizzarlo come bersaglio sociale e per bloccare idee, istanze e sogni. Una violenza non espressa in modo fisico, una violenza dolce e imposta culturalmente e assimilata dalle persone appartenenti ad una stessa cultura e che condividono i medesimi tratti culturali. Questa violenza si reifica per mezzo di finzioni culturali che le donne e gli uomini non percepiscono come tali ma che meccanicamente vengono giornalmente riutilizzate. Tutto questo permette la creazione di una violenza condivisa che a cascata diviene violenza diffusa.
Questo è accaduto con la notizia, il tweet del Senatore della Repubblica e le consequenziali risposte, ritrattazioni e becere dichiarazioni. Quello che si è instaurato, con questo meccanismo, è il contributo al mantenimento della logica di violenza simbolica nell’ottica di denigrare e disgregare attraverso la menzogna il corpo sociale del cambiamento.
Pier Paolo Pasolini sostiene che
«Abbiamo un potente mezzo di lotta, la forza della ragione, con la coerenza e la resistenza fisica e morale che essa dà. Con essa dobbiamo lottare senza perdere un colpo. I nostri avversari sono criticamente e razionalmente tanto deboli quanto sono poliziescamente forti, ma non potranno mentire in eterno. Dovranno pur rispondere prima o poi alla ragione con la ragione, alle idee con le idee, al sentimento col sentimento. E allora taceranno. Il loro castello di ricatti, violenza, menzogne crollerà».4
Io credo in questo. Credo nella forza della ragione. Credo nella capacità umana di dirare le nubi dell’ignoranza e dell’informazione capziosa. Credo negli uomini e nelle donne che ogni giorno lottano per cambiare le cose.

1) http://www.repubblica.it/cronaca/2015/01/18/news/illazioni_sulle_volontarie_la_gaffe_di_gasparri_su_twitter-105184853/
2) Beatrice Tortolici è stata una brillante antropologo e mia cara amica. Scomparsa nel 2011 si è occupata, in modo magistrale, della questione di genere. Tra i i suoi testi: Appartenennza, paura, vergogna. Io e l’altro antropologico; Violenza e dintorni.
3) P. Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1998.
4) Dialoghi con Pasolini” Vie Nuove n. 33 a. XV, 20 agosto 1960

A.M.

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La nostra marcia

La nostra marcia

Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
In alto, catena di teste superbe!
Con la piena del secondo diluvio
laveremo le città dei mondi.
Il toro dei giorni è screziato.
Lento è il carro degli anni.
La corsa il nostro dio.
Il cuore il nostro tamburo.
Che c’è di più divino del nostro oro?
Ci pungerà la vespa d’un proiettile?
Nostra arma sono le nostre canzoni.
Nostro oro sono le voci squillanti.
Prato, distenditi verde,
tappezza il fondo dei giorni.
Arcobaleno, dà un arco
ai veloci corsieri degli anni.
Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
Da soli intessiamo i nostri canti.
E tu, Orsa maggiore, pretendi
che vivi ci assumano in cielo!
Canta! Bevi le gioie!
Primavera ricolma le vene.
Cuore, rulla come tamburo!
Il nostro petto è rame di timballi.

Vladimir Majakovskij